Parlare di ingrandimenti e campionamento nell’osservazione e nella fotografia planetaria può aiutare a chiarire le idee di molti. Ho notato che spesso i neofiti chiedono “a quanti ingrandimenti” è stata scatta una foto astronomica. Ho pensato di scrivere questa guida per fare un po’ di chiarezza sulle differenze tra osservazione e fotografia (in questo caso planetaria, quindi, ad alta risoluzione) e sulla priorità tra ingrandimenti e acquisizione di dettagli.
Osservazione e ingrandimenti

Quando guardiamo da un telescopio l’immagine che ci viene restituita dall’oculare non è in scala 1:1 come la vedremmo a occhio nudo. Essa risulterà ingrandita in base alla focale del telescopio e dall’oculare che stiamo utilizzando.
Il calcolo degli ingrandimenti
Gli ingrandimenti in osservazione si calcolano dividendo la focale del telescopio per la focale dell’oculare. Se abbiamo un telescopio 130/900 (indipendentemente che sia un Newton, rifrattore, Sc, Rc, …) ed utilizziamo un oculare da 10 mm, gli ingrandimenti saranno: 900/10= 90x.
Cosa significa un ingrandimento di 90x? Semplicemente che il nostro occhio vede un’immagine che è 90 volte più grande di com’è quel determinato oggetto in realtà.
Esiste però un limite massimo indicativo di ingrandimenti, dettato dalle caratteristiche dello strumento. Il limite si calcola moltiplicando per 2 il diametro di apertura (in millimetri) del telescopio.
Lo strumento che abbiamo ipotizzato prima (il 130/900) avrà un limite teorico di ingrandimenti che si aggirerà intorno ai 260x. Se supereremo questo limite l’immagine risulterà sempre più sfocata e priva di dettagli, fino ad arrivare al punto in cui avremo difficoltà a capire se il nostro oggetto risulti a fuoco o meno.
Questa formula sugli ingrandimenti massimi, come già detto, è indicativa. La nostra immagine non sarà nitidissima a 260x e sfocatissima a 261x, il degrado dell’immagine è graduale all’aumentare degli ingrandimenti.
Un altro fattore (probabilmente il più importante) che va a modificare il limite degli ingrandimenti è il cielo, nello specifico il seeing.
Ci saranno delle serate nelle quali ci sarà un seeing eccellente dove con lo strumento in questione potremo arrivare magari a 270x – 280x. In altre serate ben peggiori non ci converrà superare i 230x – 240x.
In conclusione, nessuno ci vieta di osservare un oggetto a 350x con un telescopio 130/900, lo vedremo in modo orribile però è possibile farlo. La cosa importante non è (come si pensa erroneamente all’inizio) quanto posso ingrandire un oggetto ma bisogna trovare, in base alla strumentazione e alla serata, il compromesso ingrandimenti-dettagli.
Notare i dettagli è la cosa che fa venire la pelle d’oca mentre si osserva, meglio un Saturno nitido a 200x che un ovale sfocato a 500x.
Conoscere le caratteristiche di ingrandimenti e campionamento nel planetario cambierà la qualità della vostra attività astronomica.
Astrofotografia ad alta risoluzione e campionamento

E’ importante considerare ingrandimenti e campionamento come concetti che presentano precise distinzioni. Nella fotografia, ad esempio, lo strumento di acquisizione non è più il nostro occhio ma è un sensore.
Il sensore fotografico
Il sensore è di forma rettangolare ed è formato da piccoli pixel quadrati che colorandosi ciascuno di un’unica tonalità, formano l’immagine.
Dal momento che stiamo parlando di fotografia astronomica HiRes (high resolution), e quindi di pianeti e Luna, prendiamo ad esempio il sensore della camera planetaria X.
Il sensore della cam X, di dimensioni 4,8 x 3,6 mm è formato da 1.304 x 976 pixel, ognuno dei quali misura 3,75 micron (0,000375 cm) di diagonale.
La risoluzione della camera, quindi, risulta essere di circa 1,2 megapixel (1.304 x 976 = 1.272.704 pixel). Ciò vuol dire che possiamo immaginare il sensore come un rettangolo formato da 1.272.704 quadratini.
Le dimensioni angolari di cielo
L’ultimo concetto che dobbiamo assimilare prima di inoltrarci a parlare di campionamento è capire le dimensioni angolari di cielo.
Se osserviamo il cielo, stiamo guardando una distribuzione di stelle su una superficie immaginaria che non è dritta di fronte a noi come un muro. E’ come se fossimo all’interno di una sfera sulla quale sono presenti gli astri.
Per questa ragione, se dobbiamo stimare la distanza tra due punti non possiamo utilizzare una misura lineare, come si farebbe su una parete, ma dobbiamo utilizzare le misure angolari, ovvero, l’angolo compreso tra i due punti in oggetto.
L’unità di misura dell’angolo è il grado d’arco, i classici gradi che troviamo nei goniometri. Visto che le distanze angolari astronomiche sono spesso molto piccole, si è deciso di utilizzare i sottomultipli del grado (l’unità di misura della distanza è il metro, ma se dobbiamo misurare dei fogli A4 usiamo i decimetri o i centimetri, è lo stesso principio): il minuto d’arco (abbreviato in arcmin, 1/60 di grado) ed il secondo d’arco (abbreviato in arcsec, 1/60 di minuto).
Facciamo degli esempi concreti per rendere un’idea di cosa vogliano dire queste dimensioni:
– Luna piena: circa 1.900” (arcsec)
– Venere: circa 40”
– Saturno: circa 15”
– Mercurio: circa 10”
NB: queste non sono misure assolute, ma relative. Sono misure che dipendono dalla distanza dell’osservatore e che ci permettono di avere una unità di misura della volta celeste. Ad esempio, se la Luna si trovasse ad una distanza inferiore rispetto a quella reale, pur mantenendo un diametro di circa 3.500 km, la sua dimensione angolare sarebbe superiore in quanto il cono che si può notare nella figura sopra si allargherebbe.
Il campionamento
Ora che abbiamo capito com’è strutturato un sensore e come misurare il cielo, andiamo a vedere perché in fotografia non parliamo più di ingrandimenti e andiamo a definire il campionamento.
In fotografia, dal momento che come strumento di acquisizione utilizziamo un sensore e non l’occhio, l’immagine non viene ingrandita.
In questi casi, per determinare la “grandezza” dell’immagine parliamo di campionamento.
Il campionamento definisce la dimensione angolare della porzione di cielo che ogni singolo pixel facente parte del sensore riesce a riprendere.
Di conseguenza, questo fattore determina il dettaglio più piccolo che possiamo risolvere con la strumentazione a nostra disposizione.
Per esempio, un ipotetico campionamento di 5”/pix (secondi d’arco su pixel) significherebbe che ogni singolo pixel del nostro sensore riuscirebbe ad inquadrare una porzione quadrata di cielo di dimensioni 5” x 5”.
In questo caso, tenendo come riferimento la sopracitata cam X, i circa 1,2 milioni di pixel del sensore formeranno la nostra immagine, i cui dettagli di dimensioni inferiori a 5” non saranno risolti perché compresi in un unico pixel.
La formula per calcolare il campionamento è la seguente (dimensione dei pixel e lughezza focale devono avere la stessa unità di misura):
Campionamento (in arcsec/pix) = (dimensione dei pixel / focale dello strumento) x 206.265 (fattore di conversione tra radianti e secondi d’arco)
Quindi conviene cercare di campionare la porzione più piccola possibile?
La risposta è no.
Il nostro strumento ha un potere risolutivo massimo che è calcolabile tramite la relazione di Dawes:
Potere risolutivo (in arcsec) = 120/diametro di apertura (in mm)
Per fare in modo che il nostro sensore sia in grado di utilizzare questa risoluzione occorre che questa cada su 3-4 pixel: né molto più, né molto meno.
Per fare in modo che questo accada occorre campionare nel modo giusto, ovvero, il più vicino possibile al campionamento ottimale, così calcolato:
Campionamento ottimale (in arcsec/pix) = 37/ diametro di apertura (in mm)
Il sovracampionamento
Si verifica quando il campionamento è troppo piccolo rispetto al campionamento ottimale, ad esempio, è inutile campionare 0,5”/pix quando il nostro campionamento ottimale è di 1”/pix.
Il sovracampionamento è nocivo principalmente per due motivi:
1) Il potere risolutivo è fisso ed è quindi superfluo aumentare le dimensioni del corpo celeste in fase di ripresa.
2) Sovracampionando diminuisce la luminosità specifica dell’oggetto ripreso, ovvero ogni pixel riceverà meno luce rispetto ad un campionamento ottimale.
Ne deriva che l’immagine risultante risulterà più rumorosa e/o ripresa con un fps (frame per secondo) inferiore, inoltre, il contrasto dei dettagli diminuirà e la risoluzione effettivamente raggiunta risulterà minore.
Il sottocampionamento
Il sottocampionamento si verifica quando il campionamento è troppo grande rispetto al campionamento ottimale, ad esempio, campionando 5”/pix quando il nostro campionamento ottimale è di 1”/pix.
Così facendo, verranno persi per strada dei dettagli che verrebbero risolti campionando in modo corretto.
Questi calcoli sono fatti senza tenere conto del seeing, se avessimo un setup che ci permettesse di campionare 0,1”/pix i nostri cieli non ci permetterebbero comunque di risolvere dettagli di questa dimensione angolare perché saranno rovinati dalla turbolenza atmosferica.
Considerazioni finali
Il campionamento e il campionamento ottimale, quindi, servono a capire indicativamente fino a dove possiamo spingerci con la grandezza dei pixel e la lunghezza focale in modo da poter risolvere tutti i dettagli che la nostra strumentazione ed il nostro cielo ci permettono se sfruttati al 100%.
Quindi, per ricollegarci al discorso iniziale degli ingrandimenti, più il nostro campionamento si avvicina a quello ottimale, più ci permette di risolvere dettagli fini.
Per questo motivo non è importante che il pianeta sia grande, specialmente in fase di acquisizione (la fase di ripresa), ma è importante che il campionamento risulti corretto.
Ingrandimenti e campionamento sono quindi concetti fondamentali per utilizzare al meglio la strumentazione astronomica nell’osservazione e nella fotografia dei pianeti.